GLANAGE. ANCORA SULLE “PRESENZE VALDESI” IN ITALIA COME PROBLEMA STORICO E STORIOGRAFICO ·
Alfonso Tortora
Università degli Studi di Salerno, Italia
Recibido: 08/02/2022
Aceptado: 15/05/2022
Resumen
Le considerazioni qui proposte tendono a collocarsi nel solco di una già avviata, ma non ancora consolidata, riflessione storiografica sui temi delle "presenze valdesi" sul territorio italiano tra tardo Medioevo e prima età moderna. L'obiettivo di queste pagine, più precisamente, è quello di evidenziare alcuni percorsi storici, che dagli anni ’70 dello scorso secolo hanno riacceso i riflettori della storiografia italiana sul tema del valdismo come problema storico e storiografico.
Parole chiave: storiografia del Novecento; storia religiosa; presenza valdese; Medioevo; prima Età Moderna.
GLEANING. STILL ABOUT THE "WALDENSIANS PRESENCES" IN ITALY AS A HISTORICAL AND HISTORIOGRAPHICAL PROBLEM
Abstract
The considerations proposed here tend to be placed in the wake of an already begun, but not yet consolidated, historiographical reflection on the themes of the "Waldensian presence" on the Italian territory between the late Middle Ages and the early modern age. The aim of these pages, more precisely, is to highlight some historical paths, which since the 1970s have rekindled the spotlight of Italian historiography on the theme of the Waldensians as a historical and historiographical problem.
Key words: twentieth century historiography; religious history; Waldensian presence; Middle Ages; early Modern Age.
ESPIGUEO. NUEVAMENTE SOBRE LAS "PRESENCIAS VALDESI" EN ITALIA COMO PROBLEMA HISTÓRICO E HISTORIOGRAFICO
Resumen
Las consideraciones que aquí se proponen tienden a para mover en la estela de una reflexión historiográfica ya iniciada, pero aún no consolidada, sobre los temas de la "presencia valdense" en el territorio italiano entre la Baja Edad Media y edad moderna temprana. El objetivo de estas páginas, más precisamente, es resaltar algunos caminos históricos que, desde la década de 1970, han reavivado la atención de la historiografía italiana sobre el tema del valdismo como problema histórico e historiográfico.
Palabras claves: historiografía del siglo XX; historia religiosa; presencia valdense; Baja Edad Media; Temprana Edad Moderna.
Alfonso Tortora. Associate Professor of Modern History at the University of Salerno. He has held study seminars at some French universities, the Université Paul Valéry Montepellier III and the Université de Provence Aix, and Argentina, Universidad Nacional de Mar del Plata. On the Waldenses of the Mezzogiorno he has offered new scientific contributions in various national and international study conferences, seminars and conferences.
Correo electrónico: atortora@unisa.it
ID ORCID: 0000-0002-5497-8472
GLANAGE. ANCORA SULLE “PRESENZE VALDESI” IN ITALIA COME PROBLEMA STORICO E STORIOGRAFICO
Valdesi: un rinnovato interesse storiografico nel secondo ‘900
Il 1974 è un anno importante per il reinserimento dei valdesi nella più generale storiografia italiana attenta ai movimenti religiosi e, quindi, ai gruppi ereticali (MERLO, 2000: 21-37). È questo, infatti, l’anno in cui la storiografia italiana si alimenta di numerosi, nuovi contributi dedicati (in termini generali o più essenzialmente specifici) alla vicenda storica dei Valdesi medievali. Certo, non si può tacere -in apertura di queste note- il fatto che proprio nel 1974 veniva ristampata dalla Società editrice il Mulino la terza edizione del lavoro antologico, curato da Ovidio Capitani (CAPITANI, 1974), dedicato all’”eresia medievale” (la prima edizione era del 1971), in cui si riproponevano specifici saggi di Herbert Grundmann, di Raul Manselli, di Raffaello Morghen, di Cinzio Violante, di Gioacchino Volpe ed altri, in cui pure figurava, occupando nell’economia della riproposta editoriale una collocazione di certo non marginale, la vicenda storica del valdismo medievale in connessione con la più ampia ed articolata storia del “Medioevo ereticale”[1]. Inoltre, non va trascurato un ulteriore fatto, cioè che ancora nel 1974 vedeva la luce la prima edizione italiana del classico lavoro sull’eresia medievale di Herbert Grundmann, Movimenti religiosi nel Medioevo (editore il Mulino), con un saggio introduttivo di Raul Manselli (la traduzione in lingua italiana era di Maria Ausserhofer e Lea Nicolet Santini), dove, tra il II ed il III capitolo, un posto fondamentale veniva occupato dai valdesi e dalla storia delle loro origini sociali (GRUNDMANN, 1974: 83-168)[2]. Ma, detto questo, resta interessante osservare come a partire dai primi mesi del 1974 vedevano progressivamente la luce altri lavori storici, in cui pur figuravano i valdesi, ma ora assunti come movimento religioso, che occupa un preciso posto, anche se non ancora un ruolo ben definito, nella società medievale[3]. Quali –per essere più specifici– gli studi a cui facciamo riferimento?
Nel V capitolo del ponderoso saggio dal titolo Storia religiosa […] redatto da Giovanni Miccoli e apparso nel II volume, 1° tomo, della “Storia d’Italia” (Einaudi) coordinata da Ruggero Romano e Corrado Vivanti (volume tutto dedicato all’Italia religiosa. Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII,) si trattava dei “Movimenti e chiese ereticali tra XII e XIII secolo” con particolare attenzione, tra gli altri temi, alla “penetrazione catara e valdese” (MICCOLI, 1974: 609-734); argomento, quest’ultimo, su cui si appunteranno, non a caso, i successivi giudizi critici di Grado Giovanni Merlo al II Convegno dell’Associazione dei Medioevalisti italiani (tenutosi in Bologna il 2 giugno 1976) ed in altre occasioni[4]. Nel giugno dello stesso anno veniva pubblicato dalla Claudiana di Torino il volume di Jean Gonnet e Amedeo Molnár, Les vaudois au moyen âge, e, sempre in quell’anno, appariva l’editio minor della stessa storia con il titolo Storia dei Valdesi. I dalle origini all’adesione alla Riforma (1176-1532) curata dal solo storico boemo Amedeo Molnár e sempre per la Collana storica della Claudiana[5]. Inoltre, ancora sul finire del secondo semestre del 1974 (precisamente nel dicembre di quell’anno) venivano pubblicati gli atti del “XIV Convegno di studi sulla Riforma ed i movimenti religiosi in Italia”, svoltosi in Torre Pellice tra il 21 ed il 23 agosto 1974, organizzato in occasione dell’ “VIII Centenario Valdese”[6]. In questa sede trovavano convergenza una pluralità di voci, tra cui Kurt-Victor Selge, Raul Manselli, Amedeo Molnár, Grado Giovanni Merlo, Jean Duvernoy, Domenico Maselli ed altri[7], le cui relazioni stimolavano le acute osservazioni, tracciate a margine del Convegno stesso, di Giovanni Gonnet, il quale, in una sintesi tanto originale quanto opportunamente critica, ben rilevava, accanto ai “punti fermi o ancora problematici” emersi dall’incontro, come “i partecipanti non erano venuti a mani vuote”:
Ognuno aveva dietro di sé anni di ricerche – scriveva Gonnet –, senza parlare della pubblicistica nel primo numero 1974 di “Protestantesimo”, o dai due volumi della nuova storia dei valdesi medioevali della Claudiana (prima citati) usciti proprio alla vigilia del Convegno, o infine dai testi portati per l’occasione da qualche relatore (Gonnet, 1974: 144)[8].
Quale fosse la pubblicistica a cui rinviava Gonnet con il suo richiamo alla rivista “Protestantesimo”[9], è presto detto: l’articolo di Amedeo Molnár sui Valdesi primitivi: setta religiosa o movimento rivoluzionario? (Molnár, 1974: 3-10) e quello di K.-V. Selge relativo alle Riflessioni sul carattere sociale e sulla religiosità del valdismo francese primitivo (Selge, 1974a: 11-39). Quale fosse, poi, il riferimento ai “testi portati per l’occasione da qualche relatore”, ebbene ciò rinviava esplicitamente all’interessante iniziativa coordinata da Domenico Maselli, ma svolta dal suo gruppo di ricerca operativo presso l’Università di Firenze dal 1968, e confluita in volume, edito dalle Edizioni Tellini di Pistoia nel 1974, dal titolo “Eretici e ribelli del XII e XIV secolo. Saggi sullo spiritualismo francescano in Toscana” (MASELLI, 1974). In questo lavoro collettivo[10], che pure cercava di cogliere i punti di connessione storicamente esistenti tra il fallimento della Riforma Gregoriana e l’affermazione di una attesa millenaristica confluente, successivamente, attraverso san Bernardo di Clairvaux in Gioacchino da Fiore, si poneva l’accento sul come e sul perché la Chiesa romana, scrive Maselli nella introduzione al volume,
sentiva come il movimento popolare che aveva appoggiato la Riforma Gregoriana venisse ormai, fatalmente, insensibilmente, a trovarsi fuori dalla chiesa stessa che non aveva saputo rinnovare le strutture del mondo in senso spirituale ed aveva definitivamente materializzato le sue (MASELLI, 1974b: 10).
Il tema di ricerca coordinato da Maselli, dunque, si poneva come naturale premessa alla relazione che lo stesso Domenico Maselli, nel 1974, pubblicava negli Atti del Convegno di Torre Pellice su ricordato, il cui titolo era il seguente: “Il Valdismo e i movimenti spirituali francescani: appunti di una ricerca di équipe”. Il fine dello storico alessandrino era quello di sottolineare come “piuttosto che di analogia tra Valdo e Francesco, cara ad una certa bibliografia di un passato più o meno recente”, fosse più opportuno
parlare di tendenze comuni del periodo verso la povertà intesa come modo di rompere l’accerchiamento in cui le classi subalterne erano costrette da quelle privilegiate e più ancora come rivalutazione del Vangelo sentito come pratico oggetto di studi (MASELLI, 1974a: 93-94).
Il tono confessionale traspare evidente dalle pieghe del discorso di Maselli, ma ad emergere è pure l’interesse, caratteristico degli anni Settanta del ‘900, per le classi subalterne, e ciò riveste importanza per il reinserimento del valdismo nella storiografia italiana del secondo Novecento[11]. Non sembra proficuo soffermarci più a lungo (se non in nota) su questo aspetto della storiografia italiana attenta ai Valdesi nel più ampio contesto della storia del Cristianesimo prodotta in quell’anno[12]. Resta il fatto che anche il volume coordinato da Domenico Maselli rientra in quell’anno mirabilis, il 1974, che abbiamo indicato essere l’anno di “rinascita”, in Italia, degl’interessi storici riguardo al movimento valdese medievale[13].
Ma il 1974 è anche l’anno in cui Kurt-Victor Selge (anch’egli storico evangelico, ma di matrice barthiana) sulle pagine del già citato Bollettino della Società di Studi Valdesi, pure insisteva sull’aspetto di classe del valdismo primitivo, precisando come con “Valdez, prima della conversione –e in un certo senso […] anche dopo– ci troviamo nella sfera della borghesia europea primitiva” (SELGE, 1974b: 4)[14]; quella borghesia, aggiungiamo noi, che anche rientrava, come oggi ci è meglio noto, in quel più ampio movimento popolare, in cui si radicherà, accanto ai Patarini, il valdismo primitivo (Cfr. COLISH, 2001: 396-406; MERLO, 2012: 60-69).
Nell’ordine del discorso qui dato non va dimenticato l’importante saggio di Antonio Brusa dedicato a Federico II e gli eretici, apparso nel 1974 nel XVII volume degli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari (pp. 287-326), in cui i Valdesi emergevano (ed era l’unica volta in quel periodo che ciò avveniva sul piano storiografico) come realtà storica tangibile nel Mezzogiorno d’Italia accanto ai catari e ad altri nuclei ereticali del Medioevo. È con Brusa, dunque, che a distanza di diverso tempo la medievistica italiana (senza dimenticare gli studi di cristianistica) si ricorda dei valdesi pur presenti nel Mezzogiorno d’Italia (TORTORA, 2004).
In generale, comunque, il carattere prevalente di questa storiografia resta nell’aver collocato nel discorso storico il valdismo come movimento religioso medievale, ma senza per questo analizzarne i gradi di insediamento nelle varie realtà geografiche italiane ed il suo effettivo sviluppo storico nell’Italia tra il tardo Medioevo e la prima età moderna ad eccezione però, delle sistematiche ricerche avviate su questi temi da Grado Giovanni Merlo in quegli anni e portate ad un primo, importante compimento nel 1977 con il volume dedicato a “Eretici e inquisitori nella società piemontese del Trecento”, contenente, tra l’altro, utili indicazioni documentarie sulle presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia (MERLO, 1977: 20, 31, 42-44, 47, 91, 148).
A questo punto del nostro discorso non appare fuori luogo chiedersi che cosa abbia prodotto a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo la convergenza in Italia delle pubblicazioni, a cui finora abbiamo fatto cenno. I motivi sono molteplici; basti qui soffermarsi su alcuni di essi.
Il primo appare essenzialmente connesso all’VIII centenario della conversione di Valdesius, a cui si legano in particolare le pubblicazioni promosse dalla Claudiana e le iniziative convegnistiche ed editoriali organizzate dalla Società di studi valdesi, a cui prima abbiamo fatto cenno e dove si inserisce il proficuo contributo dato da Enea Balmas alla storia dei valdesi del passato avviato (come prima sezione) nel 1971 con la ristampa di alcuni testi di “storici valdesi” dei secoli XVI e XVII e di “antichi testi valdesi”[15]. Il secondo motivo dell’affermarsi nel 1974 di una serie di pubblicazioni dedicate al movimento valdese medievale si associa, indiscutibilmente, alle istanze sociali scaturite, nel secondo dopoguerra, dalla necessità di affermare una “nuova cristianità”, di cui di seguito pure si dirà qualcosa.
Ma un ulteriore motivo, su cui vale la pena rapidamente soffermarsi, è determinato dalla seguente osservazione: negli studi prima citati e apparsi nel 1974 emergeva con evidenza una precaria conoscenza della storia delle comunità valdesi radicatesi nel Sud d’Italia a partire dal 1315 circa e molto probabilmente provenienti dalla Provenza o dal Delfinato, dal Piemonte. Si tratta di flussi migratori che occuparono l’alta valle del Crati, in Calabria e, progressivamente, secondo un’accreditata visione storiografica, attraverso molteplici ondate emigratorie, si insediarono sempre più stabilmente verso le alte terre della Daunia e alcune località circonvicine della Capitanata, dell’Irpinia e, come oggi pure meglio si comprende da più recenti scavi d’archivio, del Beneventano (Cfr. TORTORA, 2017: 43-59). In questi nuovi luoghi si svilupparono storie di vita materiale, i cui adattamenti sociali e politici venivano, per così dire, amalgamati dall’azione dei predicatori itineranti. La scarsa conoscenza di questa parte della storia di quello che veniva chiamato valdismo (o, per attualizzare il tema, meglio sarebbe parlare con Grado Giovanni Merlo di valdismi o più semplicemente di “presenze valdesi”) (TORTORA, 2017: 25-29; 2004) ben presto verrà avvertita come un problema storico e storiografico da Giovanni Gonnet. Si tratta di un discorso esplorativo condotto su un significativo campo d’indagine storica a sfondo confessionale, svolto da Gonnet nell’arco di mezzo secolo circa, in cui tendono a confluire (sotto specifiche spinte guidate da una molteplicità di nessi e cause) sia un certo stile di ricerca e di ricostruzione della storia dei movimenti valdesi presenti nel Mezzogiorno d’Italia, sia alcuni modi di operare la propria fede religiosa vissuta pure attraverso una ricerca storica -per usare le parole di Amedeo Molnár- “confessante”.[16] Occorre, però, subito precisare che il termine “stile” è qui impiegato nel senso discusso da Carlo Ginzburg, in diverse sedi, come strumento concettuale e nel contempo “politico” per evidenziare varianti contenutistiche, sotto il profilo letterario ed artistico, tra modelli culturali diversi (Cfr. GINZBURG, 1998: 136-170)[17]. Nel nostro caso, più precisamente, il termine “stile” vuole mettere in evidenza proprio un diverso modello culturale di ricerca storica proposto da Gonnet rispetto ai modelli storiografici a lui precedenti e coevi, a cui attinse per la ricerca sui valdesi medievali e moderni in generale, ma anche per quelli presenti nel Mezzogiorno d’Italia.
Tra culture subalterne, eretici e valdesi
Le molteplici “glanures” che Jean Gonnet[18] ci ha lasciato sulle tracce della presenza valdese nel Sud d’Italia in età basso Medievale e prima metà del ‘500, benché finissero per convergere in una stessa direttrice di ricerca storica coltivata da Gonnet come riesame complessivo e in larga misura critico del valdismo medievale[19], obbedivano a motivazioni molto differenti e si differenziavano sia per il tono, sia per la portata dei rilievi critici. Il tema del valdismo, radicatosi nel Mezzogiorno italiano a partire dal secolo XIV, si presentava agli occhi del Gonnet innanzitutto come un motivo utile a quella chiarificazione complessiva, che la ortodossia cattolica della prima metà del Novecento aveva reso indifferibile. Negli anni in cui Ernesto Buonaiuti parlava di “nuova generazione dell’esodo” (BUONAIUTI, 1945), vedeva la luce il primo fascicolo dei quaderni di “Protesta Laica”, diretti da Gabriele Pepe, in cui Giovanni Gonnet rivendicava all’Italia del secondo dopoguerra una precisa “difesa della laicità”[20] e Ugo Janni si interrogava sul “rinnovamento cattolico dell’Italia e la missione del Valdismo” all’indomani di Chanforan in un volumetto del 1932 (cfr. JANNI, 1932). Del resto, proprio questa controversia si configurò per Gonnet, nella seconda metà del Novecento, essenzialmente come un mezzo, tra gli altri, sia per rivendicare l’indipendenza di un movimento autenticamente cristiano, quello valdese appunto, sia per aprire un dibattito sulle ambizioni egemoniche della cultura cattolica italiana in materia religiosa[21] rispetto ad un’alternativa di fede, che, pur presentando alle origini talune affinità di ordine generale con la Chiesa romana, presentava degli sviluppi culturali assai difformi, documentabili sul piano storico, ma non storiografico, e implicante, perciò, delle scelte ideologiche e pratiche manifestamente antitetiche alla cultura dominante[22].
Corrosivi ed impietosi apparivano, d’altro canto, gli attacchi mossi a più riprese alla cultura protestante italiana del primo dopoguerra dai marxisti e dai socialisti, che, al di là delle indiscutibili ed evidenti incomprensioni legate alle interpretazioni sulla Riforma in Italia, miravano principalmente a colpire la pretesa di queste minoranze religiose di fondare la propria condotta di vita sui risultati di una “verità” di fede, da cui derivava un atteggiamento sociale ed etico del tutto estraneo alle necessità dettate dalla dura realtà politica ed economica del momento[23].
In seguito, nella società italiana del secondo dopoguerra erano emerse precise istanze sociali tendenti ad affermare la necessità di una “nuova cristianità”, da intendersi quest’ultima come una rinnovata “socialità -ha scritto Franco Garelli- fondata sulla religione”. “L’idea -ed è ancora Garelli che parla- non era tipicamente italiana, ma attraversava da alcuni decenni l’Europa, pur con diverse declinazioni”[24]. Secondo Jacques Maritain, ad esempio, la società d’ispirazione cristiana poteva e doveva essere capace di oltrepassare “le esperienze negative del capitalismo e del comunismo, per affermare dei rapporti sociali ed economici e dei parametri politici e istituzionali fortemente incentrati sulla difesa e sulla promozione della persona umana” (GARELLI, 2007: 11)[25]. Anche da queste istanze culturali nasceva e si affermava un certo modello di storiografia italiana tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento[26], poco sensibile alla lezione proveniente dalla scuola e dalla rivista Les Annales (BERTELLI, 1989: 11, 26, 46, 60 e nota n. 155), ma attenta, tra l’altro, alle culture subalterne, ai ceti popolari[27], di cui Carlo Ginzburg discuteva le prospettive storiche e storiografiche nei suoi “Benandanti”, prima, con il suo Menocchio immediatamente dopo (GINZBURG, 19722; 1976; cfr. SIMONCELLI, 2002: 31 ss., e le note 41 e 42) e Gabriele De Rosa proponeva ricerche innovative sulla storia della religiosità popolare, ma al di fuori di quelle tendenze storiografiche legate alle novità introdotte dal Concilio Vaticano II orientate verso la “valorizzazione della nozione di popolo di Dio” (Cfr. BILLANOVICH, 2011: 5)[28].
Tra il 1966 ed il 1976 proprio a Carlo Ginzburg si deve (come espressione di una continuità di studi, le cui radici affondavano nei lavori che Delio Cantimori aveva dedicato ai movimenti ereticali italiani d’età moderna)[29], in Italia, una specifica attenzione allo scambio circolare tra alta e bassa cultura nella storia italiana[30], di cui, per un processo di egemonizzazione storica forzata, custode e testimone rimaneva l’Inquisizione romana, a cui in quegli anni rivolgeva uno sguardo trasversale, tra gli altri, Italo Mereu (1979)[31]. Pertanto, in questi anni, per poter capire il mondo della nuova modernità, quel mondo contemporaneo, per intenderci, caro all’Armando Saitta direttore responsabile della rivista “Movimento operaio”, occorreva indagare (anche con l’ausilio dell’allora emergente microstoria[32]) quel moderno “mondo alla rovescia”[33] costellato pure di eretici, la cui vicenda umana e di fede risultava in vario modo attestata, e con diverse accentuazioni, dagli atti dell’Inquisizione medioevale e moderna, dalle fonti cronachistiche a carattere religioso, dai documenti di papi, di vescovi e di signori del Basso Medioevo e della prima età moderna, dalle autorità prinicipesche sensibili ai movimenti e alle sette ereticali. È in questo contesto culturale che Luciano Osbat pubblicava nel 1974 il suo volume dal titolo “L’Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, 1688-1697”[34], sfruttando l’allora prima emergente documentazione inquisitoriale giacente nel fondo Sant’Ufficio dell’Archivio storico Diocesano di Napoli[35], da cui prendevano anche le mosse i pioneristici lavori di Pasquale Lopez (successivamente sviluppati e amalgamati da Giovanni Romeo e, successivamente, da Pierroberto Scaramella e Michele Mancini) dedicati all’Inquisizione napoletana (LOPEZ, 1974), dai cui fondi pur cominciavano ad emergere rinnovate notizie sui Calabro- valdesi.
Poco prima della scoperta e della pubblicazione a cura del Lopez dei “due documenti inediti del Sant’Ufficio di Napoli” riguardanti i Calabro -valdesi (articoletto apparso nel 1979 nella rivista di “Storia e letteratura ecclesiastica di Napoli” (organo dell'Istituto superiore di teologia), una rivista del tutto marginale nei confronti della cultura storica italiana del periodo, ma riedito successivamente dal Lopez in Napoli per le edizioni di Luigi Regina nel 1984 in “Clero eresia e magia nella Napoli del Viceregno” (LOPEZ, 1984: 43-56)[36], avevano visto la luce, nel 1976, “Il movimento valdesiano a Napoli. Mario Galeota e le sue vicende col Sant’Ufficio”[37], di Pasquale Lopez, e nel 1978 un libro di Giuseppe Coniglio sugli “Aspetti della società meridionale nel secolo 16°”, in cui pure, tra le complessità dei temi politici, economici e sociali trattati, si ricordava nel capitolo dedicato alle “rivolte”, ma senza aggiungere nessuna novità documentaria sul tema, del “macello di laboriose popolazioni rurali quali i valdesi di Calabria” (cfr. CONIGLIO, 1978: 184)[38]. Certo, una qualche importanza ai fini del nostro discorso riveste il fatto che poco prima della pubblicazione del lavoro di Coniglio l’abile erudito ed archivista beneventano Alfredo Zazo pubblicava sulle pagine di “Samnium”, tra “Varietà e Postille” un brevissimo articoletto (una sola pagina, ma su due colonne) dal titolo: “Il viceré di Napoli ordina al governatore di Cosenza d’intervenire nel processo d’inquisizione contro alcuni eretici di Guardia dei Lombardi (1560)” (ZAZO, 1976: 231)[39], in cui si riportavano alcune non inedite (come voleva l’autore) disposizioni del Viceré don Pedro Afán de Ribera e alcune parole di commento al documento redatte dallo Zazo. Così pure ci sembra importante in questa sede ricordare lo studio del gesuita Alfredo Marranzini dedicato a “I gesuiti Bobadilla, Croce, Xavierre e Rodriguez tra i Valdesi di Calabria” apparso in “Rivista storica Calabrese” del 1983 (ma avviato qualche anno prima) (MARRANZINI, 1983: 393-420), in cui poco o nulla si dice di nuovo sui valdesi di Calabria ed il relativo eccidio, e gli atti del convegno di studi promosso dal Centro studi Gangale di Catanzaro nel 1985 su iniziativa di Giovanni Gonnet ed Enzo Stancati, dal titolo “Valdismo e Valdesi di Calabria”[40], nei quali ugualmente non si ritrova alcuna novità tematica e documentaria sui valdesi di Calabria.
Valdesi nel Mezzogiorno d’Italia: “Fragments isolés”
Questa limitazione delle ricerche sulle presenze valdesi nel Mezzogiorno italiano tra basso Medioevo e primi decenni del ’500 appare, del resto, direttamente confermato dai due maggiori incontri di studio avvicendatisi tra la fine degli anni ’80 e ’90 del ’900, a più di un ventennio di distanza dal ben noto appuntamento di Fanjeaux dedicato a “Vaudois languedociens et Pauvres catholiques”[41]. Al “Colloque international” di Aix-en-Provence del 1988, incontro realizzatosi per opera di Gabriel Audisio, si raggruppavano, in un tentativo di sintesi dagli esiti alterni, alcune valutazioni sulle forme storiografiche, sui metodi di analisi e sui contenuti storici delle varie diramazioni, in senso sia culturale, sia religioso e sia geografico, degli originari movimenti di fede scaturiti dallo slancio religioso vissuto da Valdesius. In quella sede emergeva, tra l’altro, con netta evidenza la dichiarata consapevolezza delle difficoltà di fronte alle quali si trovava inevitabilmente una ricerca storica che tentava di ricostruire, in prospettiva unitaria, la vicenda interna ed esterna dei valdesi. Nello stesso tempo veniva sottolineato ad Aix, come le condizioni di vita religiosa imposte a queste comunità dalla repressione ecclesiastica e le difficoltà di diffusione che ne erano conseguite, per molti versi, caratterizzavano la storia di questi uomini e di queste donne e la loro emigrazione dagli originari centri di vita, dalla Provenza ed oltre. In definitiva restava ancora oscura, però, sotto molti aspetti, la storia autentica dei valdesi: “et l’obscurité -precisava Grado Giovanni Merlo in quella occasione- ne concerne pas que des fragments isolés, parfois importants, du valdéisme” (MERLO, 1990: 29)[42].
Nell’incontro del 1988, dunque, i problemi posti dalle vicende storiche dei valdesi si concentravano, sotto i riflettori degli intervenuti, su una molteplicità di motivi[43], tra i quali figuravano tanto quelli della complessità storica dei valdesi medievali, che passavano anche, e forse soprattutto, attraverso esperienze ambientali profondamente diverse, tanto quelli della problematizzazione delle fonti e della prima storiografia valdese[44]. Un ulteriore, difficile problema, inoltre, era costituito dalla comprensione delle fasi di passaggio dei valdesi alla Riforma di matrice elvetico-strasburghese nei primi decenni del Cinquecento[45]. È qui, comunque, al di là degli innegabili, riconosciuti progressi compiuti dalle ricerche di storia dei valdesi preriformati e riformati[46], che affiorava il divario esistente tra un approccio storico sufficientemente ampio ed articolato sulla ramificazione francese, tedesca e “lombarda” dei valdesi medievali e la totale assenza di discorsi storici e storiografici sulle presenze di queste comunità nell’ambito del Mezzogiorno d’Italia, dove la loro “implantation -scriveva Audisio, in una sorta d’inciso, nel bel mezzo della sua riflessione dedicata alla “fine dei valdesi medievali” e dopo un fugace accenno ai valdesi di Calabria e di Puglia”- ici reste ancore à étudier” (Cfr. AUDISIO, 1990: 78, 83). Ecco, così, chiamato molto superficialmente in causa dal primo incontro provenzale, un altro polo d’insediamento fondamentale, ma totalmente inesplorato, della storia dei valdesi europei: il Sud d’Italia.
Sempre ad Aix, ma dieci anni dopo, si è riproposto un nuovo “Colloque” internazionale dedicato a “Les vaudois”. Due gli scopi di questo nuovo confronto scientifico: “faire le point des recherches sur l’histoire des vaudois des origines au XVIe siècle et, si possibile, dégager des pistes pour de futures enquêtes” (Cfr. AUDISIO, 2000a: 5). Nel discorso introduttivo, ancora affidato ad Audisio, si manifestavano a chiare lettere, seguendo soprattutto una metodologia coerentemente scientifica, le intenzioni dell’appuntamento. Questi i propositi: innanzitutto quello di seguire da vicino “l’avancement des recherches pendant la décennie écoulée -vérifier en quelque sorte l’efficacité scientifique de cette précédente rencontre- en même temps que d’ouvrir, si possibile, encore quelques perspectives” (Cfr. AUDISIO, 2000a: 5). Attraverso le parole dello studioso francese, inoltre, non sfuggono le due “innovazioni”, se non proprio sostanziali, ma certo rilevanti, date a questo raduno in rapporto al “Colloquio” precedente. In primo luogo ci si proponeva di illustrare, più che semplicemente rendicontare, alcuni percorsi di storia valdese attraverso “quelques interventions originales”; “la seconde innovation consistait à dresser le bilan de l’histoire concernant les vaudois du Piémont” (AUDISIO, 2000a, 6). Al di là delle buone intenzioni dichiarate dall’organizzatore del “Colloque”, la cui direttrice di marcia si poneva il compito di essere un ulteriore momento di verifica dell’andamento delle ricerche condotte nell’arco di un decennio sul mondo dei valdesi esaminato anche, ma non solo, dal punto di vista della sua intrinseca inadeguatezza alla realtà sociale circostante, proprio il più attuale andamento delle ricerche sulla storia dei valdesi preriformati e riformati (Cfr. BILLER, 2000: 75-99, AUDISIO, 2000b: 155-166)[47]. aveva rimesso in luce una conciliazione forzata tra la scarsità delle fonti disponibili, che peraltro era legata indissolubilmente alla logica della disgregazione dei valdesi avvenuta, sul piano storico, in termini non solo territoriali, ma anche in termini di identità del movimento stesso fin dal suo apparire (MERLO, 1991: 14 y ss.; TORTORA, 2004: 38-42), e l’analisi dei fatti noti, per i quali restavano irrisolte le interne contraddizioni (Cfr. MERLO, 2000: 24-37).
In definitiva, al momento del secondo incontro provenzale ancora non si oltrepassava, sul piano della conoscenza scientifica, il limite dei fatti noti relativi alla storia dei valdesi. Il Mezzogiorno d’Italia, pur sulla traiettoria dell’ondata emigratoria compiuta dalle famiglie valdesi nel corso del secondo Medioevo[48] e pur ricco di tracce valdesi tra tardo ’400 e ’500, continuava a rimanere un territorio di ricerca “lontano” dagl’interessi degli specialisti della storia dei valdesi medievali e riformati.
Nel quarantennio successivo al secondo dopoguerra, dunque, è possibile rilevare un mancato interesse storiografico sulla più generale storia dei valdesi italiani. Pertanto, ancora oggi, a conclusione di queste pagine resta aperta una domanda: perché ci si è preoccupati poco, nel secondo dopoguerra, fino all’apertura degli Archivi romani dell’ex Sant’Ufficio nel 1998, e, quindi, alla pubblicazione dell’importante ed innovativo studio di Pierroberto Scaramella sull’”Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria” del 1999 (e degli altri innovativi lavori dedicati ai Valdesi del Sud d’Italia avviati all’inizio di questo nuovo secolo da studiosi di area prevalentemente meridionale)[49] di esaminare i termini storici delle “presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia” tra Basso Medioevo e prima età moderna?
Bibliografia
Fuentes primarias
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ZAZO, A., (1977). “Appunti di “haeretica pravitas” in Benevento e nella sua provincia nel XVI secolo”. Samnium, Vol. L, N° 1-2, pp. 1-16.
· Le pagine di questo contributo, privo di note critiche, hanno conservato l’impostazione di uno scritto apparso in Il giusto vivrà per fede. Presenze Evangeliche in Irpinia e Capitanata dal Medioevo all’Età Contemporanea, a cura di Alfonso Tortora, Manuela Castaldo, Dario De Paquale, Grottaminarda (AV), Delta 3 Edizioni, 2017. Si ripropongono qui rielaborate ed integrate da note e opportuni riferimenti bibliografici. Sono grato all’Editore della Delta 3 per aver consentito la pubblicazione di quelle pagine in questa sede. Ringrazio inoltre il prof. Grado Giovanni Merlo per aver letto questo lavoro e per i preziosi suggerimenti che mi ha fornito sul generale contenuto dell’articolo.
[1] A testimoniare il rinnovato interesse che la storiografia italiana degli anni Settanta dello scorso secolo mostrava verso i temi dell’eresia è lo stesso Capitani, il quale, nella introduzione ad un suo successivo libro antologico provocatoriamente intitolato Medioevo ereticale scriveva: “Dopo la teoria, la pratica, dopo la tipologia, la casistica, dopo il generale, il particulare: se andassimo alla ricerca di giustificazioni estrinseche, se di queste ci fosse veramente bisogno, dopo le tre edizioni della precedente antologia L’eresia medievale, le troveremmo in maniera fin troppo facile in un’”apertura” del tipo di quella cui abbiamo accennato nelle prime righe”: (CAPITANI, 1977), (il corsivo è dell’autore). Osservazioni acute sugli sviluppi di questi interessi di studio avvertiti dalla medievistica italiana a partire proprio dai lavori antologici di Capitani venivano evidenziati, in quel giro di anni, da: (BIGALLI, 1972: 395-407).
[2] Si legga a questo proposito la recensione di Franco Cardini a questo libro, apparsa in “Archivio Storico Italiano”, il quale, molto opportunamente, poneva l’accento sul “lungo, significativo sottotitolo che il Grundmann ha voluto apporre alla sua opera e che, da solo, vale un commento: Ricerche sui nessi storici fra l'eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile del XII e XIII sec. e sulle origini storiche della mistica tedesca”: (CARDINI, 1973: 289-291), (il corsivo è dell’autore). Più precisamente però, il sottotitolo riportato nel libro in traduzione italiana è il seguente: “Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sui presupposti storici della mistica tedesca”.
[3] Su questo punto si leggano gli avvertimenti generali di: (GONNET, 1976: 7-45).
[4] Questi giudizi trovano una loro più precisa sistemazione in: (MERLO, 1984: 19-22; 2011). Sull’importante Premessa del Miccoli: (MICCOLI, 1974: 431-447) alla “Storia religiosa nella Storia d’Italia Einaudi a proposito delle fasi di una stagione storiografica”, il cui senso “lo si coglie anche dodici anni prima del 1974”, conviene avere dinanzi quanto scrive: (CAPITANI, 2005: 21-38; per la citazione cfr. p. 22) (il corsivo è nel testo). Vale la pena ricordare qui, con Agostino Paravicini Bagliani: (PARAVICINI BAGLIANI, 2010: 449-450) come quel saggio del Miccoli aprì una rilevante crisi “in seno alla Rivista di storia della Chiesa in Italia, che si era nel frattempo aperta alla collaborazione di numerosi studiosi laici per formazione, metodo di studio e impostazione storiografica” in conseguenza “della recensione, firmata da Giorgio Penco, in aperta polemica” con il saggio di Miccoli (il corsivo è nel testo). Per la recensione del Penco a Miccoli: (cfr. PENCO, 1976: 119-145). A questo proposito rilevanti considerazioni si leggono in: (CAPITANI, 2003: 123-137).
[5] I volumi ora richiamati vedevano la luce in occasione dell’VIII centenario del Movimento Valdese. Su queste opere cfr. la puntuale recensione di: (PESCHKE, 1976: 859-861), in cui si discuteva anche l’opera di Amedeo Molnár: (MOLNÁR, 1973b), dove lo storico boemo utilizzava in forma più discorsiva, “almeno in parte nell’impostazione”, alcuni capitoli (precisamente i capitoli I, II, III, IV e IX), per la redazione dell’edizione italiana (l’editio minor, a cui abbiamo accennato) della Storia dei Valdesi/1: (MOLNÁR, 1974: 7).
[6] VIII Centenario Valdese. Comunicazioni al Convegno storico di Torre Pellice 21, 22, 23 agosto 1974, “Bollettino della Società di Studi Valdesi”, CXXXVI (1974).
[7] Non tutti i contributi vennero però, pubblicati. Una efficace sintesi dei contributi presentati in quella occasione veniva comunque offerta alla fine del fascicolo da: (ROTELLI, 1974: 133-142).
[8] (GONNET, 1974: 143-153).
[9] Che pure si accingeva alle celebrazioni “dell’VIII centenario del movimento valdese fissato convenzionalmente nel 1974”, tracciando “un piano di successivi articoli e contributi da distribuire nei 4 numeri dell'anno”. Questo piano, discusso nel 1973 dal comitato redazionale della rivista, era “stato concordato nei termini seguenti: N. 1/1974: Che cosa è stato il Valdismo medioevale. N, 2/1974: Il rapporto Valdismo-Riforma. N. 3/1974: Le interpretazioni tipiche del Valdismo. N. 4/1974: Attualità o meno del Valdismo”. Cfr. In occasione dell'VIII centenario valdese, “Protestantesimo”, a. XXIX, I, 1974, pp. 1-2.
[10] L’operazione culturale, nata nell’ambito di attività accademiche e caratterizzata da un certo grado di sperimentazione storiografica nel periodo in cui si attivò, stimolò una serie di interessanti riflessioni di: (Cardini, F., 1973: 287-289). Per i lavori di Maselli prodotti a partire dagli anni ’70 del ‘900, dedicati ai fermenti ereticali del Medioevo e della prima età moderna e sollecitati dalla necessità di storicizzare un percorso di fede e di vita confessante costruito con dedizione e fatica da quanti avevano attraversato le secolari stagioni di un acceso conflitto con la Chiesa cattolica tra il secondo Medioevo e l’immediato periodo storico, si può partire dalla riflessione, che lo storico alessandrino dedicò alle “Tendenze ereticali ed evangeliche nell'Italia medioevale e moderna” apparse in “Appendice” alla traduzione italiana di: (CAIRNS, 1970: 489-519), contributo ripubblicato autonomamente in: (Maselli, 1972). Un indicativo ed utile riferimento alle indagini svolte da Maselli su questi temi sul finire del 1970 ed inserito in una più generale valutazione degli studi prodotti sulla “religious history of early modem Italy” dopo gli studi del Cantimori, si può leggere in (Schutte, 1989: 269-284, 280, per la citazione cfr. 270).
[11] Sul punto: (TORTORA, 2017: 13-19). Più in generale ricordiamo che in questi anni vedeva la luce sia la ristampa anastatica di: (TOCCO, 1884, rist. 1972: 165-166), dove largo spazio era dato, accanto ai Catari e ai Valdesi, ai Patari, ai “cenciajuoli o cenciosi”, ai “rivenduglioli di panni vecchi”, ai ceti subalterni per intenderci, sia il lavoro di: (MANSELLI, 1975: 1-38), studio già apparso nel 1953, in cui, rispetto alla prima edizione, si presentavano nuove ricerche dedicate ai ceti subalterni attraverso una rinnovata attenzione alla “religiosità popolare nel Medio: problemi e metodi” e ad “aspetti e significato dell'intolleranza popolare nei secoli XI-XIII”, sia infine il contributo di (SELGE, 1975: 181-216) presentato al II Convegno internazionale di studi di Assisi del 17-19 ottobre 1974 e dedicato a quegli strati della popolazione medievale che per varie ragioni agirono in contrasto con la Chiesa cattolica, tra cui figuravano i valdesi. Un discorso a parte meriterebbe la pubblicazione in questi anni del volume di: (MOLNÁR, 1973a), con la presentazione di Luigi Santini, in cui si poneva l’accento sul carattere essenzialmente popolare della prima Riforma, manifestazione degli strati inferiori della società, che trovò la sua espressione fondamentale nel movimento valdese e in quello hussita. Così pure lo scritto di Gerolamo Miolo: (MIOLO, 1971), che, come scriveva Franco Giacone costituiva “un capitolo della storia Valdese visto in una chiave oggettiva al di sopra di ogni polemica” (confessionale, aggiungiamo noi) ed ulteriore testimonianza dell’attenzione rivolta in quel periodo agli emarginati (eretici, streghe etc.) nella storia. Per la citazione: (cfr. GIACONE, 1972: 344-347, per la citazione cfr. 347).
[12] Ancora nel 1974 vedevano la luce in Italia i seguenti scritti dedicati ai Valdesi e non solo: (GIAMPICCOLI, PAPINI, 1974; MERLO, 1974: 701-708; BONINI, 1974: 532-542). Si potrebbero prendere in considerazione anche i corsi accademici svolti nell’a.a. 1973/74 e dedicati ai movimenti religiosi popolari nel Medio Evo, di cui costituisce un interessante esempio la dispensa universitaria di: (NADA PATRONE, 1975). Si aggiunga a questi studi la seconda edizione (la prima ediz. è del 1972) accresciuta (apparsa nel gennaio del 1975) degli scritti di: (VIOLANTE, 1975), raccolti da Piero Zerbi, su cui cfr. le rapide, ma feconde escursioni di: (CAPITANI, 2005: 25, nota 5).
[13] Al secondo “Colloque” internazionale di studi dedicato a “Les Vaudois” e svoltosi a Aix-en-Provence il 6-7 novembre 1998, Grado Giovanni Merlo: (Merlo, 2000: 23-24) ben sottolineava che “nell'ambito degli studi sulle origini della storia dei valdesi si è attuato un notevole rallentamento di interesse dopo l'importante volume di Christine Thouzellier su Catharisme et valdéisme en Languedoc del 1966 (che ha avuto altre due edizioni, nel 1969 e nel 1982) e la fondamentale monografia di Kurt- Victor Selge su Die ersten Waldenser del 1967, seguiti da una notevole opera di Martin Schneider sull’Europäisches Waldensertum del XIII e XIV secolo, pubblicata nel 1981”. Sull’”interrogativo circa il mancato sviluppo delle ricerche sul periodo delle origini e sul XIII secolo dopo i lavori di Selge, Thouzellier e Schneider e dopo l'utilissima e rigorosa raccolta di Quellen zur Geschichte der Waldenser, a cura di Alexander Patschovsky e di Kurt- Victor Selge, édita nel 1973 – aggiungeva Grado Giovanni Merlo, con evidente allusione anche ai ritardi della storiografia italiana su questi argomenti – non mi trova pronto a una risposta” (il corsivo è dell’autore). Su questi “vuoti della ricerca” ed i nuovi itinerari intrapresi dalla successiva storiografia attenta ai valdesi medievali utile il confronto con le pagine dedicate al problema ancora da: (MERLO, 2009: I-IV, 11-21).
[14] Appare utile rilevare qui come il Selge si muovesse in sintonia con alcune nuove tendenze mostrate dalla storiografia americana del tempo, che proponeva specifiche interpretazioni sulla genesi e sulla diffusione delle eresie europee di età moderna studiate nell’ottica delle più generali teoresi dei conflitti di classe, su cui cfr. le rapide e stimolanti osservazioni di: (BLICKLE, 2007: 11-19).
[15] Per limitarci ad alcuni titoli della prima sezione si veda: (GEROLAMO MIOLO, 1971; BALMAS, DIENA, 1972; BALMS, THEILER, 1975; BALMAS, DAL CORSO, 1977; BOUTEROUE, 1978). Sul punto: (BENEDETTI, 2016: 175-185).
[16] Cfr. la “Prefazione” di A. Molnár alla raccolta di una parte consistente degli scritti di: (GONNET, 1989: 14). Su questo punto si è soffermato anche: (RICCA, 1999: 171-173). Credo, comunque, che il termine “confessante” utilizzato dallo storico boemo vada riferito soprattutto alla pratica biblica del confessare (òμολογέω), intimamente vissuta ed espressa da Gonnet, ma con specifico riferimento al duplice senso che in greco moderno òμολογέω indica e cioè l’atto del “mi confesso” (ὲξομολοζγέομαι) e quello dell’”ascolto la confessione” (ὲξομολογέω), su cui: (FÜRST, 1980: 339-343).
[17] Più in generale, sulle articolazioni di stile generate dal rapporto espressione letteraria e narrazioni storiche: (cfr. GINZBURG, 2018).
[18] “Lui-même signait tantôt “Jean” et tantôt “Giovanni”, ce qui n’était pas un détail insignifiant”, scrive Gabriel Audisio: (Audisio, 1998: 983) nel necrologio dedicato a Jean Gonnet, historien des Vaudois (1909-1997), quasi a voler sottolineare uno dei molteplici aspetti della caratterizzante “dimension internationale” dell’uomo e dello studioso.
[19] Ciò si raccoglie fin dai suoi primi studi dedicati ad una revisione storica e storiografica de Il Valdismo medievale – Prolegomeni, ma anche Waldensia (1): (GONNET, 1942; 1989: 751-864), dove Gonnet intendeva già prendere le distanze da una tradizione di studi, che egli ravvisava presente anche all’interno dello stesso mondo valdese, abituata a presumere acriticamente la vicenda storica del valdismo medievale. Questa avvertita necessità di restituire alla vicenda valdese il suo reale significato storico trovò il proprio naturale complemento, accanto ad altri studi, nel tentativo, avviato dallo storico ginevrino fin dagli anni cinquanta del ‘900, di una raccolta sistematica delle fonti del valdismo medievale: (cfr., GONNET, 1958 : 5-26; 1998 : 5- 11).
[20] Diretti da Gabriele Pepe, il “N.1, Anno primo” vide la luce nel marzo 1949 ad opera dell’editore Pietro Lacaita di Manduria e vi collaborarono: “Antonio Bruno, Fabrizio Canfora, Aldo Capitini, G.E. Castiglione, Tommaso Fiore, Giovanni Gonnet, Pietro Lacaita, Vito Laterza, Gabriele Pepe, Enzo Santarelli, Alberto Simone, Mario Themelly”. Alla base di questa iniziativa editoriale si poneva la necessità della “difesa della laicità”: (cfr. PROTO, 1990: 1060).
[21] Come indica Paolo Simincelli, parlando del clima culturale e politico italiano del secondo dopoguerra, con esplicito riferimento, tra gli altri, a Gonnet e alla sua vicenda professionale: (SIMONCELLI, 2002: 18-19). Inoltre, importante è tenere presente quanto scriveva: (GONNET, 1949: 18-20). Comunque, una eco della posizione egemonica assunta, irrevocabilmente, dalla cultura cattolica italiana in materia religiosa negli anni Settanta del Novecento si coglie anche in: (PARAVICINI BAGLIANI, 2010: 450), quando accenna alla “seconda crisi” vissuta dalla Rivista di Storia della Chiesa in Italia, quella del 1976, “provocata dalla decisone di Paolo Brezzi di candidarsi alle elezioni politiche di quello stesso anno 1976 come indipendente di sinistra” nelle liste del Partito comunista italiano, decisione che provocò le dimissioni dei membri responsabili della Rivista, i cattolici Fausto Fonzi e Paolo Sambin, “preoccupati della svolta confessionale della Rivista di Michele Maccarrone, il quale decise di sciogliere il consiglio di redazione, in seguito al rifiuto di Brezzi di dimettersi spontaneamente” (il corsivo è nel testo). Su questa vicenda si leggano pure le rapide, indicative note di: (RIGON, 2004: 388).
[22] Di questo dibattito una sia pur pallida espressione si rifletteva nell’antagonismo sorto tra Gonnet e mons. Raffele Castielli sulla autenticità della presenza valdese in Irpinia, Daunia e Capitanata tra i secoli XV e XVI. Si legga la corrispondenza tra Giovanni Gonnet a don Salvatore Ceglia e la posizione assunta sulle osservazioni di Gonnet in quella occasione da Aldo Petitti in: (PETITTI, 1979: 15); inoltre, al dibattito apertosi tra mons. Castielli e Gonnet sulla presenza di Valdesi in Capitanata in età basso medievale: (cfr. PETITTI 1982: 6-10). Per i contenuti ed i più specifici sviluppi di questo dibattito: (cfr. TORTORA, 2004: 146 ss.).
[23] Il riferimento è al dibattito che si accese tra Antonio Gramsci e il socialista Guido Mazzali su alcuni aspetti politici riflessi nel tema della Riforma: (cfr. GRAMSCI, 1975: 317-18; 2590). Per le tesi di Guido Mazzali: (cfr. MAZZALI, 1925: 3; 1926: 38). Per la posizione assunta da Gramsci: (cfr. GRAMSCI, 1971: 442-445). Per approfondire le tematiche relative a questo dibattito: (cfr. CAROTTI, 2002: 37-75). Un approccio a questo tema, visto nelle sue conseguenze storiografiche legate al superamento dello “storicismo” e dell’”idealsmo” all’indomani della seconda guerra mondiale, in: (Simoncelli, 2002: 16-19). Una più sottile analisi degli aspetti storiografici pure legati, in qualche misura, a questo dibattito, ma con esplicito riferimento alla storiografia medievistica italiana attenta al “Medioevo Cristiano” e alle considerazioni espresse “dall’on. Amendola” sulla mancata realizzazione della Riforma in Italia a “livello popolare”, è contenuta in una relazione di Ovidio Capitani “letta il 9 dicembre del 1976 presso l’Istituto di studi storico/politici dell’Università degli Studi di Salerno” e successivamente pubblicata in: (CAPITANI: 1979: 271-356, nota n. 7 di p. 277). Infine, sull’indiscutibile influenza esercitata dal pensiero di Gramsci sulla storiografia italiana (o almeno su quella parte di essa più dichiaratamente marxista) del primo e di una parte del secondo Novecento si legga ciò che scriveva: (Romano, 1978: 10-11, 67 ss.).
[24] (Cfr. GARELLI, 2007: 11). Su ciò si aggiungano le acute considerazioni di stampo metodologiche tracciate da: (MICCOLI, 1974: 439 ss.).
[25]Ma di Jacques Maritain, sul più specifico tema della formazione della persona umana in relazione al rapporto fede e ragione si legga anche la “Prefazione dell’Autore” a: (MARITAIN, 1981: 9-14).
[26] Su cui stimolanti osservazioni si leggono in: (FAROLFI, 1978: 168-172; 1979: 119-125). Più di recente, su alcuni specifici aspetti di questa storiografia si sono soffermati: (RAO, 2013: 761-789; TORRE, 2015: 621-628).
[27] (Cfr. BERTELLI, CALVI, 1981: 551-579). Sulla svolta culturale compiuta dagli studi storici italiani a partire dagli anni Sessanta del Novecento in relazione alle avvertite “influenze extradisciplinari” del momento, quali l’antropologia etc.: (cfr. GALASSO, 2017: 153-155; ROMAGNANI, 20202: 341-372).
[28] In questa sede ci si limiterà a giustificare il termine “religione popolare”, in relazione all’espressione “religione prescritta”, rinviando ad alcuni scritti di De Rosa presentati in diverse circostanze (convegni nazionali e internazionali, seminari, tavole rotonde o apparsi in riviste) tra il 1974 ed il 1977 e raccolti nel volume dall’emblematico titolo Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno: (DE ROSA, 1978). Per le altre iniziative assunte da Gabriele De Rosa in questi anni cfr. ciò che scrive: (Paravicini Bagliani, 2010: 448-449). Si legga inoltre la seconda parte della raccolta di studi di: (ROSA, 1976: 183-310), dedicata ai “momenti di passaggio da espressioni religiose colte, sostanzialmente libere, individuali o di gruppo, cinquecentesche, alle esigenze di pietà collettive e popolari”: (per la citazione p. 12), senza dimenticare l’importante testo di Carla Russo posto all’inizio del lavoro antologico dedicato a Società, Chiesa e vita religiosa nell’”Ancien Régime”: (RUSSO, 1976: XVII-CCXLIV), in cui si tracciano paragoni, analogie e differenze su queste aperture tematiche fra la storiografia italiana, francese, inglese e tedesca per il periodo 1962-1974.
[29] Su questi studi e la relativa genesi si leggano almeno la fertile Introduzione di Adriano Prosperi a: (CANTIMORI, 1992: XI-LXXII) e gli importanti contributi di: (PROSPERI, 1993: 727-735; FIRPO, 1993: 737-756; MICCOLI, 1993: 757-768; ROTONDÒ, 1993: 769-775; SEIDEL MENCHI, 1993: 777-786; VIVANTI, 1993: 787-798; BONGIOVANNI, 1993: 799-810; COLLOTTI, 1993: 811-818; PETERSEN, 1993: 819-825) apparsi in “Studi Storici” nel 1993. Per gli sviluppi di questi studi convergenti sulla “Riforma in Italia”, che a partire dalla edizione del Beneficio di Cristo con le versioni del secolo XVI, a cura di Salvatore Caponetto: (cfr. CAPONETTO, 1972), apparsa nel “Corpus Reformatorum Italicorum” nel 1972 avevano stimolato una lunga serie di articoli e di riflessioni sulla storia religiosa italiana, si legga ciò che nel 1989 scriveva: (SCHUTTE, 1989: 271, e nota n. 8), che è comunque da tener presente interamente,
[30] Si leggano a questo proposito le pagine assai intelligenti e ricche di acume critico di: (BERTELLI, 1989: 36-42), inserite in una più generale valutazione degli studi storici italiani dedicati al “Cinquecento e dintorni” tra gli anni ’70 e ‘80 del Novecento, considerazioni riprese da Bertelli successivamente in una intervista rilasciata a: (MANCINI, 2002). Sulle osservazioni critiche di Bertelli apparse in Il Cinquecento: (BERTELLI, 1989) si è di recente soffermato: (BENIGNO, 2012: 382-384) nel più generale confronto su La recente storiografia italiana attraverso le riviste promosso dalla “Fondazione Gramsci” e dalla rivista “Studi storici”. Comunque, sullo scambio circolare tra alta e bassa cultura nella storia italiana e la tenuta storiografica del tema sul più generale contesto culturale europeo importanti appaiono i saggi avvertimenti di: (NICCOLI, 2015: 997-1010).
[31] Il volume era stato pensato e scritto tra gli anni 1974-1979 (cfr. MEREU, 1988/2000, p. VII) e si presenta oggi come il riflesso (sul piano storico-giuridico e non solo) delle tensioni psicologiche, politiche, sociali e culturali degli anni Settanta del Novecento. A prova di ciò, valga la pena ripetere qui ciò che Mereu scriveva nella Introduzione della prima edizione di questo libro: “Si è scelto il periodo che va dal 1542 al 1642, non solo perché è necessario, una buona volta, fissare il “tempo cronologico” in cui i fatti giuridici narrati si svolgono, ma anche perché ci è sembrato, fra gli altri, quello di maggior interesse perché “contemporaneo” –per usare un’espressione crociana– e fra i meno studiati dagli storici del diritto” (il corsivo è nel testo): (cfr. MEREU, 1979: 17). A questo testo si è richiamato (non a caso) Guido Dall’Olio: (2002: 55, nota n. 40), in una generale esposizione dei riflessi del “mutamento del clima politico italiano a partire dagli anni Ottanta” del Novecento su alcuni percorsi della storiografia italiana, enfatizzando alcune parole di Mereu scritte nella Introduzione alla seconda edizione del suo libro. Su queste tensioni, che avevano alimentato la relativa svolta storiografica del tempo è comunque da tener presente ciò che scriveva Carlo Ginzburg nel luglio del 1979 nell’Introduzione al volume di: (BURKE, 1980: I-XV), senza trascurare le pagine di: (MOMIGLIANO, 1980: 377-393) apparse nel 1977 in “Rivista storica italiana”.
[32] Su cui si segua la sottile e critica rievocazione storica di: (GINZBURG, 2018: 241-269, nello specifico 254 ss.) e, dello stesso, ma in una diversa e più attuale prospettiva storiografica: (GINZBURG, 2015: 446-473).
[33] Scontato il rinvio a Giuseppe Cocchiara, ai fini del nostro discorso il riferimento è al classico lavoro di: (BACHTIN, 1979), opera che non a caso appariva in italiano nel dicembre del 1979, preceduta dalla traduzione italiana del classico lavoro di: (FEBVRE, 1978). Per un’accurata rivisitazione e descrizione del clima culturale degli anni ’70 del Novecento, che ruotava intorno a questi temi: (cfr. BELPOLITI, 2010: 235-271; BORGHESI, 2019). Un importante richiamo a questo clima culturale, ma discusso sotto un profilo rigorosamente storiografico, ci viene da: (Rao, 2021: 143-163, qui 151-152) nel proporre una rilettura del profilo accademico ed intellettuale di Pasquale Villani e, pertanto, ponendo in evidenza l’acume critico dello storico salernitano nei confronti di una nuova, emergente storiografia attenta alla storia della cultura popolare, della mentalità e, in definitiva, della microstoria.
[34] Roma, Edizioni di Storia e Letteratura. Sembra utile ricordare qui come in quel periodo si era svolto un ampio dibattito tra Hubert Jedin e Joseph Lortz sulla storia del Concilio di Trento, al quale stava già da tempo lavorando lo storico slesiano Jedin: (cfr. ALBERIGO, 1970: 82-102), senza dimenticare le pagine di: (JEDIN, 1945: 117-136). I termini di quel dibattito, sorto in relazione ai quattrocento anni dall’apertura del Tridentino (13 dicembre 1545), investivano alcune interessanti novità sulla storia generale della chiesa, in cui rientravano anche le risultanze dei suoi effetti sulla vita dei cristiani in piena età moderna, tra cui figurava il fondamentale rapporto tra la filosofia, la scienza e la fede, cioè tra la cultura e l’autorità, relazione storica che costituiva l’oggetto precipuo dello studio di Osbat in riferimento alla società napoletana del Seicento, come opportunamente rilevava: (BOUWSMA, 1976: 293-295) nel recensire questo libro in “The Catholic Historical Review”. Una eco di questo dibattito trapela dalle pagine di Ruggero Romano: (1978: 56 ss.).
[35] Di questo fondo Osbat aveva già dato ampie notizie in: (1972: 419-427; OSBAT, 1973a: 941-961; OSBAT, 1973b: 311-359), fornendo anche indicazioni sulla ricerca, che aveva avviato sui processi agli ateisti. Una prima concreta utilizzazione dei documenti rinvenuti nel fondo Sant’Ufficio dell’Archivio Sorico Diocesano di Napoli si rinviene, agl’inizi del 1970, in: (DE MAIO, 1971).
[36] Il volume contiene una interessante “Presentazione” di Giuseppe Coniglio alle pp. VII-XI sui pioneristici lavori condotti dal Lopez negli anni ’70 del ‘900 sui “rapporti clero-magia nel viceregno” e, pertanto, sull’Inquisizione napoletana, di cui Coniglio si occuperà in maniera più diretta negli anni successivi: (cfr. CONIGLIO, 1985- 86: 37-38, 125-139).
[37] Napoli, Fiorentino editrice.
[38] A questo lavoro di Coniglio non accenna Guido Dall’Olio: (2002: 57-60) nella parte finale del suo contributo espressamente dedicata a “Eretici” e valdesi, pur assumendo alla base del suo discorso The Italian Reformation of the Sixteenth Century and the Diffusion of Renaissance Culture: (TEDESCHI, 2000), che costituisce ancora un imprescindibile repertorio bibliografico per la ricchezza dei titoli raccolti.
[39]Questo articolo non compare in: (TEDESCHI, 2000). Dello Zazo, in questa Bibliografia, a p. 597 si riporta solo il seguente articolo: (ZAZO, 1977: 1-16).
[40] Atti del Convegno omonimo organizzato dal Centro Studi “G. Gangale” (Catanzaro 11/12 ottobre 1985), Crotone, Brueghel, 1988.
[41] L’incontro si svolse nel luglio del 1966, mentre gli atti apparvero a Toulouse, Privat, nel 1967 (Cahiers de Fanjeaux, 2).
[42] Il ruolo della dialettica aperta da: (MERLO, 1984: 141-45), nell’ambito degli studi dedicati alla storia dei valdesi medievali e preriformati con l’utilizzo del sostantivo “frammento” è molto chiaro: la storia dei valdesi, in relazione alle fonti disponibili e alle aperture tematiche prodotte da una rinnovata ricerca scientifica su questo specifico tema, appariva nel 1988 più che mai caratterizzata da percorsi di storia politica, sociale e religiosa diversi, su scala europea, da regione a regione, da paese a paese, da valle a valle, con caratteristiche di differenziazioni e di trasformazioni così peculiari da legittimare gli storici a leggere nella coscienza di questo movimento molteplici “identità”, giungendo al punto da proporre il concetto di “valdismi “ in luogo di “valdismo”. Su questi temi, la loro attualità ed anche per un diverso approccio al tema attraverso l’utilizzo dell’espressione “presenze valdesi” riferite ad uno specifico contesto territoriale, quale può essere il Mezzogiorno d’Italia: (cfr. TORTORA, 2004: 45-57 e nota 12; 2017: 21-22, 25-29).
[43] Ne riferisce con grande competenza: (MERLO, 1991: 25-54).
[44] Cfr., oltre al già citato contributo di Grado Giovanni Merlo, le riflessioni di: (BILLER, AUDISIO, GILMONT, 1990: 43-59; 77-99; 105-113) ed il relativo “Débat” proposto alla fine di ogni intervento.
[45] Per i riflessi di quei motivi sulla più attuale ricerca storica dedicata a questo specifico tema: (cfr. TORTORA, 2020: 33-41).
[46] Un primo, orientativo bilancio su questa storiografia si coglie in: (TORTORA, 2015: 157-168). Sul punto, comunque, restano importanti sia l’innovativo studio di: (PROSPERI, 1996) sia il più specifico: (SCARAMELLA, 1999).
[47] Occorre però, tenere presente interamente sia la III, sia la IV parte del fascicolo della “Revue de l’Histoire des Religions”, numero speciale, relativo al colloquio di Aix-en-Provence del 6-7 novembre 1998 dedicato a Les vaudois, intitolate rispettivamente: Les mutations (XIVe-XVe siècles); L’adhésion a la Riforme (XVIe siècle), contenenti in quel tempo proposte di ricerca e aggiornate discussioni bibliografiche su alcuni aspetti del valdismo europeo.
[48] Si veda la lettura complessiva che ne offrono, con chiavi d’accesso diverse: (PERRIN, 1618: 195-207; GILLES, 1644: 17-22; GILLES, 1881: 27-30; RORENGO, 1649: 77-81; LÉGER, 1669: 21), su cui: (cfr. TORTORA, 2020).
[49] Su cui: (cfr. TORTORA, 2017: 13-19) e le recenti, rapide considerazioni di: (MERLO, 2018: 366, nota 30).
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